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MEDIAZIONE: CHI DEVE ATTIVARLA TRA OPPONENTE ED OPPOSTO?


L’individuazione della parte in capo alla quale grava l’onere di proporre istanza di mediazione a seguito dell’opposizione a decreto ingiuntivo continua a dividere la giurisprudenza di merito e di legittimità

Commento a sentenza della III Sezione Civile della Corte d’Appello di Palermo, 17 maggio 2019

di Armando Pasqua

Dai fatti di causa emerge che il Tribunale di Sciacca aveva concesso la provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo ex art. 648 c.p.c. ed aveva successivamente assegnato il termine di cui all’art. 5, comma 1 bis, d. lgs. 28/2010 per l’esperimento della procedura di mediazione, la cui inosservanza, però, ha provocato la dichiarazione di improcedibilità della domanda di opposizione al decreto ingiuntivo e la definitiva esecutività dello stesso ex art. 653 c.p.c.

Contro la sentenza, il debitore ingiunto proponeva appello.

La Corte d’Appello di Palermo esordiva illustrando sinteticamente, ma altrettanto efficacemente, la disciplina in tema di proposizione della mediazione nei giudizi monitori e di opposizione, ricordando che il creditore che voglia instaurare un procedimento volto all’ottenimento di un decreto ingiuntivo, non ha l’obbligo di esperire preventivamente il procedimento di mediazione, dato che questa dovrà comunque essere tentata solo nell’ipotesi in cui l’ingiunto si opponga al decreto e, temporalmente, solo dopo l’adozione dei provvedimenti sulle istanze di concessione o sospensione della provvisoria esecutività del decreto ex artt. 648 o 649 c.p.c.

Ciò significa che nel caso in cui il credito derivi da uno dei rapporti per i quali è previsto l’obbligatorio esperimento del tentativo di mediazione come condizione di procedibilità, tale esperimento risulta semplicemente posticipato, senza possibilità di essere eluso.

La questione cardine del giudizio, però, attiene all’individuazione del soggetto, tra opponente ed opposto, cui compete avviare la mediazione. Sul punto si registrano due diverse interpretazioni.

La prima, seguita dal Tribunale di prime cure, trova il suo fondamento nei princìpi espressi nella sentenza 24629/2015 della Corte di Cassazione, secondo cui la finalità deflattiva della mediazione, il principio costituzionale della ragionevole durata del processo, l’assunzione dell’interesse e del potere di iniziare il processo a cognizione piena come criteri di individuazione del soggetto onerato e l’irrazionalità di una soluzione diversa da quella sostenuta da queste argomentazioni, fanno propendere per l’attribuzione al debitore opponente dell’onere di avviare la mediazione.

La seconda interpretazione, preferita dal Giudice di secondo grado e sostenuta da altre pronunce – tra cui viene richiamata la sentenza 566/2018 del Tribunale di Grosseto –, è costruita sul dato letterale dell’art. 5, comma 1 bis, d. lgs. 28/2010, secondo cui la procedura di mediazione deve essere esperita da “chi intende esercitare in giudizio un’azione”, e se si pone mente alla posizione di attore in senso sostanziale che ricopre il creditore opposto, è evidente che sia proprio questi il soggetto sul quale grava l’obbligo di esperire la mediazione.

A sostegno di quest’ultima tesi la Corte d’Appello fornisce ulteriori argomentazioni:

  • il procedimento monitorio e di opposizione altro non rappresentano che un procedimento unitario (cfr. art. 5, comma 4, d. lgs. 28/2010);
  • il fatto che la mediazione sia obbligatoria dopo la pronuncia sulle istanze ex artt. 648 e 649 c.p.c., non è sintomo di particolare favor nei confronti del creditore per aver scelto la linea deflattiva ma semplicemente meccanismo necessario per consentirgli di ottenere celermente un titolo esecutivo;
  • il differimento dell’assolvimento all’obbligo di avviare la mediazione ha l’obiettivo di non costituire un ostacolo all’ottenimento di una tempestiva tutela cautelare;
  • le conseguenze dell’inottemperanza all’obbligo in esame graverebbero tutte sul debitore, dato che il creditore nell’un caso o nell’altro otterrebbe la definitività del decreto o avrebbe la possibilità di proporre un nuovo giudizio monitorio.

In definitiva, accogliendo l’appello proposto, la Corte di Palermo sancisce che “l’onere dell’avvio del procedimento di mediazione, nei giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo, compete, superata la fase preliminare di verifica della ricorrenza dei presupposti per la concessione della provvisoria esecutività del decreto, al convenuto opposto”.

Così disponendo, si legge, avviene una parificazione sotto i profili:

  • delle posizioni processuali di creditore opposto, in qualità di attore in senso sostanziale, e di debitore opponente, in qualità di convenuto in senso sostanziale, a tutti gli altri attori e convenuti, senza, da un lato, causare alcun accrescimento degli oneri della parte creditrice e, dall’altro, creare il rischio di una irrazionale premiazione della passività dell’opponente;
  • delle conseguenze processuali derivanti dall’inottemperanza alle prescrizioni sulla obbligatorietà tra creditore opposto e tutti gli altri attori.

Ancora, la soluzione qui prospettata risulta coerente con il carattere volontario della mediazione intesa come possibilità in capo alle parti di porvi fine in qualunque momento e preserva, al contempo, il loro diritto di accesso al sistema giudiziario.

In conclusione, pare che dalla pronuncia in esame emerga l’intenzione di volere il più possibile rimuovere quegli elementi di disuguaglianza che, a detta della Corte palermitana, caratterizzano il giudizio monitorio se inteso nei termini di cui alla prima interpretazione, ovverossia quella individuante nel debitore opponente il soggetto in capo al quale grava l’onere di esperire il procedimento di mediazione.

Una pronuncia improntata, dunque, al valore dell’equità sociale, intesa al (ri)bilanciamento delle posizioni processuali anche nel giudizio de quo.