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CORTE COSTITUZIONALE: LA MEDIAZIONE OBBLIGATORIA È LEGITTIMA


Importante pronuncia del Giudice delle Leggi in cui si sottolinea anche la centralità del mediatore

Commento a sentenza Corte Costituzionale, n. 97 del 18 aprile 2019

di Armando Pasqua

Dopo che la Corte Costituzionale, con sentenza 272/2012, aveva dichiarato l’illegittimità di alcune disposizioni del d. lgs. 28/2010, in particolar modo, per quanto qui rileva, l’art. 5, primo comma, in cui era previsto l’obbligatorio esperimento del tentativo di mediazione in determinate materie, il legislatore era intervenuto con il d. l. 69/2013, convertito dalla l. 98/2013, reintroducendo – seppur con qualche modifica – la disposizione censurata.

Il 18 aprile 2019, con la sentenza n. 97, la Corte Costituzionale si è nuovamente – e per la prima volta su questo tema dopo il 2012 – pronunciata per dichiarare la mediazione obbligatoria di nuovo conio costituzionalmente legittima.

Il Tribunale di Verona ha sollevato, con due diverse ordinanze – la prima, del 30 gennaio 2018, iscritta al n. 62 del registro delle ordinanze del 2018, e la seconda, del 23 febbraio del medesimo anno, iscritta al n. 98 del medesimo registro –, questioni di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 77, secondo comma, Cost., delle seguenti disposizioni:

  1. art. 84, primo comma, lett. b), d. l. 21 giugno 2013, n. 69, convertito con modificazioni nella legge 9 agosto 2013, n. 98, nella parte in cui aggiunge il comma 1 bis all’art. 5, d. lgs. 4 marzo 2010, n. 28;
  2. art. 84, primo comma, lett. i), d. l. 69/2013, nella parte in cui aggiunge il comma 4 bis, secondo periodo, all’art. 8, d. lgs. 28/2010;
  3. art. 84, secondo comma, d. l. 69/2013 e art. 5, quarto comma, lett. a), d. lgs. 28/2010.

In considerazione della parziale identità delle norme denunciate e delle censure formulate, i giudizi sono stati riuniti per essere decisi con un’unica pronuncia.

Da un lato, il Tribunale di Verona lamentava:

  • l’insussistenza dei requisiti della straordinaria necessità ed urgenza come presupposti per inserire nelle norme impugnate del decreto-legge la previsione di cui al comma 1 bis dell’art. 5 e il secondo periodo del comma 4 bis dell’art. 8, visto che la loro entrata in vigore è stata differita di trenta giorni rispetto a quella del decreto-legge dall’art. 84, secondo comma, anch’esso censurato;
  • la disomogeneità finalistica delle norme censurate rispetto alle altre del decreto-legge derivante dalla differita entrata in vigore delle prime rispetto alle seconde.

La Corte Costituzionale dichiarava infondate nel merito le suddette questioni per i seguenti motivi.

Sotto il primo profilo, dal mero differimento dell’efficacia delle disposizioni in esame non può desumersi l’insussistenza della straordinaria necessità e urgenza, giusta la considerazione secondo cui la necessità di provvedere con urgenza non postula inderogabilmente un’immediata applicazione delle disposizioni normative contenute nel decreto-legge (a tal proposito, vengono richiamate le sentenze 170/2017, 5/2018, 236/2017, 16/2017).

Infatti, posticipandone l’efficacia, il legislatore ha permesso agli organismi di mediazione di adeguarsi alle novità (re)introdotte sulla mediazione obbligatoria; va da sé che una tale procrastinazione richiede, coerentemente, che anche la disciplina degli effetti della mancata partecipazione ex art. 8, comma 4 bis, secondo periodo, subisse un differimento temporale del medesimo tenore.

Sotto il secondo il profilo, uniformità teleologica, prosegue la Corte, non implica necessariamente un assoggettamento al medesimo termine iniziale di efficacia di tutte le disposizioni del decreto-legge, anzi, nel caso di specie, il differimento delle norme censurate trova fondamento nell’esigenza di assicurare il corretto funzionamento degli organismi di mediazione, talché, non solo non è sintomatico di assenza di coerenza finalistica ma, al contrario, concorre a garantirla.

Se finalità del decreto-legge sono il miglioramento dell’efficienza del sistema giudiziario e l’accelerazione dei tempi di definizione del contenzioso civile, allora le norme dell’incidente di costituzionalità si collocano coerentemente all’interno di tale cornice finalistica.

Sulla scorta di tali considerazioni, la Corte esclude sia la violazione del secondo comma dell’art. 77 Cost. sia la violazione dell’art. 3 Cost. in relazione alla disomogeneità delle norme del decreto-legge e al differimento della loro efficacia lamentati.

La Corte, tuttavia, ritiene inammissibili le questioni per altre e diverse ragioni.

In sostanza, i processi a quibus sarebbero stati iscritti a ruolo generale nel 2014 e 2017, per cui si sono instaurati in un tempo successivo a quello in cui ha prodotto effetti il differimento, ragion per cui il giudice rimettente non doveva fare applicazione della norma censurata e, di conseguenza, fanno venir meno ogni rilevanza delle questioni che la investono.

Dall’altro lato, e precisamente in via subordinata con la seconda ordinanza, il Tribunale di Verona ha impugnato la disposizione dell’art. 5, quarto comma, lett. a), d. lgs. 28/2010, per violazione dell’art. 3 Cost. nella parte in cui esclude l’obbligatorietà della mediazione, limitatamente alla fase monitoria, nei procedimenti d’ingiunzione. Tale compromissione del principio di uguaglianza emergerebbe dal confronto con la disciplina della negoziazione assistita da uno o più avvocati, applicabile, ai sensi dell’art. 2 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132 convertito, con modificazioni, dalla legge 10 novembre 2014, n. 162, alle controversie in materia di risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti, nonché, fuori da questo caso e da quelli previsti dall’art. 5, comma 1-bis, del d.lgs. 28/2010, alle domande aventi a oggetto il pagamento, a qualsiasi titolo, di somme non eccedenti cinquantamila euro.

In sostanza, la disparità tra le discipline deriverebbe dal fatto che, mentre la negoziazione assistita – benché costituisca una condizione di procedibilità della domanda giudiziale nelle materie indicate – non si applica nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione, il procedimento preliminare di mediazione – benché non applicabile alle domande proposte in via monitoria – dovrebbe essere intrapreso nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo, sia pure dopo la pronuncia del giudice, ai sensi degli artt. 648 e 649 del codice di procedura civile, sulle istanze di concessione e di sospensione della provvisoria esecuzione del decreto stesso.

A questo riguardo, la Corte, dichiarando infondata anche questa censura, ha avuto modo di delineare i tratti peculiari della mediazione, individuando in essa un elemento specializzante: “il procedimento di mediazione è connotato dal ruolo centrale svolto da un soggetto, il mediatore, terzo e imparziale, là dove la stessa neutralità non è ravvisabile nella figura dell’avvocato che assiste le parti nella procedura di negoziazione assistita”.

Nonostante entrambi gli istituti perseguano finalità deflattive, le modalità attraverso cui operano è totalmente differente, e l’elemento chiave è rappresentato proprio dalla figura del mediatore, il quale, in qualità di terzo e imparziale, assiste le parti nell’individuazione dei reali interessi sottesi alle pretese di diritto e nella ricerca di un accordo che soddisfi – secondo la logica del win-win, sottesa all’istituto – tutti i mediandi.

È dunque evidente la disomogeneità tra mediazione e negoziazione assistita, il che comporta la incomparabilità assoluta sotto il profilo dell’art. 3 Cost.­­

La sentenza conclude rilevando che la presenza del mediatore, terzo ed equidistante dagli interessi di parte, al contrario di quanto avviene in sede di negoziazione, in cui ciascun avvocato tende ad ottenere il miglior vantaggio a scapito dell’avversario, giustifica le maggiori possibilità della mediazione, rispetto alla negoziazione, di conseguire la finalità cui è preordinata e, pertanto, la scelta legislativa di rendere obbligatoria solo la prima, e non la seconda, anche nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo.