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Aequitas Formazione ADR

EDUCAZIONE ALLA MEDIAZIONE

Uscire dalla trincea


In un secondo dialogo immaginario, l’avvocato dopo aver capito i vantaggi della mediazione, chiede al mediatore come funzioni concretamente questo nuovo metodo di risoluzione delle controversie.

Mediatore

È evidente che un conflitto non si risolve con dei ricettari, formulari o esortazioni a “volersi bene”. Immagini di essere un graduato, in guerra, in una giungla, che deve condurre quattro soldati in una missione pericolosa. Cosa farebbe per prima cosa?

Avvocato

Cercherei di conoscerli uno per uno…

Mediatore

È già meglio che pensare che li può comandare da subito, senz’altre precauzioni; è come l’equipaggio di una barca: non basta conoscere e indirizzare uno per uno i singoli membri dell’equipaggio. Significherebbe, e sarebbe un errore, limitarsi a sorvegliarli tutto il tempo. Occorre che si crei tra loro, e dunque anche tra lei e loro, un legame di fiducia, di apertura. Inoltre il contesto, la giungla, ha le sue peculiarità, non è una piazza d’armi con angoli e percorsi predeterminati.

Avvocato

Il rischio è che si comportino come sono stati addestrati a fare sulla piazza d’armi.

Mediatore

Esatto. Questo è il pericolo maggiore. Quel che sulla piazza d’armi manca completamente è la percezione dell’incertezza, e anche della ricchezza, della giungla. Il contesto diverso, la giungla, cambia completamente la relazione tra lei e questi uomini e di questi uomini tra loro.

Non si tratta solo di sopravvivere, ma anche di cogliere le opportunità, molto più numerose, che il nuovo ambiente offre rispetto alla piazza d’armi. Il pericolo c’è anche sulla piazza d’armi, ma essendo semplificato, è anche prevedibile e per affrontarlo sono sufficienti rapporti semplici, gerarchici, lineari. La giungla come contesto offre più possibilità, ma richiede di concentrarsi sulla gestione dell’insieme piuttosto che sul risultato.

Avvocato

Ho visto un certo numero di film ambientati nella giungla. Spesso devono liberare qualcuno o far saltare un ponte… più che film di guerra sembrano trattati di psicologia. Emergono sempre problemi personali nascosti e rivalità che impediscono di proseguire e rischiano di far fallire la missione.

Mediatore

Forse la parola chiave è rivalità o, se preferisce, assenza di fiducia negli altri; gli avvocati ne sanno qualcosa perché per mestiere devono diffidare di tutti.

Avvocato

E il mediatore dovrebbe creare questa fiducia reciproca non tra soldati che hanno una missione comune, ma tra persone che sono in conflitto tra loro, assistite da avvocati addestrati alla diffidenza. Non mi sembra un’operazione facile…

Mediatore

È proprio sicuro che non vi sia una missione comune? Qui ci aiuta il metodo sistemico: la missione comune è cercare di risolvere il problema che ha creato il conflitto, che ha bloccato la comunicazione, che sta rovinando la relazione con danni economici e psicologici…

Avvocato

In ogni caso bisogna anzitutto farli uscire dalla trincea che hanno scavato per mesi, forse per anni, e non soltanto con l’aiuto degli avvocati. Come fare?

Mediatore

Questo è il primo passo: farli uscire dalla trincea. Si parla molto di interessi da indagare, ma naturalmente se chiedi a una persona che è in trincea qual’è il suo interesse prioritario ti risponderà, magari usando altre parole, che è quello di vincere.

Per uscire dalla trincea occorre invece proprio cominciare a vedere la differenza tra le proprie aspettative soggettive e la realtà o meglio relativizzare la propria rappresentazione della realtà.

Il mediatore, come tutti i negoziatori terzi, offre anzitutto questo alle parti: un punto di vista empatico, ma distaccato dalle aspettative sconfinate, non solo economiche, dell’Ego di ciascuna parte. Tuttavia, se consideriamo il tempo che le parti hanno speso a classificare e a ordinare tutte le esperienze e le aspettative legate al conflitto, comprendiamo la “resistenza al cambiamento” che esse oppongono al mediatore.

Alcuni mediatori utilizzano tecniche basate sulla rilevazione dei “punti deboli” della posizione di ciascuna parte (ci sono sempre punti deboli); altri individuano ogni singola aspettativa/interesse dichiarato chiedendo alla parte di valutarlo in termini economici e di probabilità che venga accolto dall’altra parte o dal giudice.

Insomma che si faccia “l’avvocato del diavolo” o che si dia alla parte l’occasione di ridimensionare da sola il proprio obiettivo, lo scopo mi sembra lo stesso: individuare le aspettative rigide di partenza, la trincea, come situazione da cui uscire.

Avvocato

Ma cosa si deve fare per far emergere le soluzioni nuove?

Mediatore

Se non si esce dalla trincea non verranno fuori soluzioni nuove e il mediatore sarà usato come un “asino di buona volontà” che porta i pacchi che si scambiano le parti. Una volta spiazzate in qualche modo le parti rispetto alle posizioni con cui sono venute in mediazione, comincia il vero lavoro di mappatura del territorio del conflitto, che è inevitabilmente un’esplorazione della relazione tra le parti e di ciascuna parte.

Le domande di esplorazione non sono domande inquisitorie dirette “all’accertamento dei fatti e delle relazioni” con la finalità di fornire una soluzione. Gli avvocati che svolgono la funzione di mediatori, ma anche, con diversa angolatura, gli ingegneri e i commercialisti, cercano spesso di raccogliere “tutti” gli elementi utili per farsi una rappresentazione chiara del problema. Ciò che è implicito in questo atteggiamento è l’approccio lineare: il commercialista e l’avvocato mediatori vogliono, ciascuno a modo suo e cercando informazioni spesso diverse, giungere a un risultato da offrire alle parti, “fare” in qualche modo il lavoro delle parti.

Sono invece le domande apparentemente meno rilevanti, su dettagli o aspetti che sembrano insignificanti che spingono la parte fuori dagli schemi della lite e certamente anche fuori dei propri schemi.

Ricorderà i filmtelevisivi del tenente Colombo: confrontato con colpevoli potenti e intelligenti il poliziotto, che ha l’aria di subire la loro arroganza, pone sempre domande “fuori luogo”. Tali impreviste domande non trovano resistenza e aggirano la rigidità della posizione consentendo di attivare nuovi territori sui quali nascono le soluzioni nuove.

Avvocato

Ma se non svolge nemmeno un’istruttoria accurata e il più possibile completa che cosa fa allora il mediatore? Almeno il tenente Colombo alla fine scopre il colpevole. Qui si vuole pure che il mediatore resti ignorante…

Mediatore

Il compito del mediatore non è quello di sapere tutto e neanche di dire tutto quello che ha capito. Il compito del mediatore e quello di far “girare di nuovo la trottola”, di rimettere in comunicazione le parti. Per far ciò il mediatore si servirà certamente delle mappe, dei rilevatori degli schemi e dei clichès che bloccano la comunicazione, ma lo farà insieme alle parti, traducendo e interpretando ciò che dicono e anche come lo dicono. Il linguaggio (non solo verbale) fornisce molti elementi non esplicitati, ma essenziali (convinzioni, atteggiamenti, presupposti, ecc.).

In questo gioco la comunicazione efficace non significa scambiarsi verità su ciò che è vero o giusto e non significa neanche comunicazione completa. Comunicazione

efficace è quella che è capace di ricreare l’ordineche è stato rotto ristabilendo quel rapporto (relazione) che è stato interrotto.

Possiamo vedere ogni singola informazione significativa che il mediatore riceve (capisce che può chiedere) come una carta da gioco coperta (se è stata fornita, come spesso accade, durante un incontro separato) che mostrata all’altra parte (eventualmente riformulandola e con il consenso della parte che l’ha fornita) può da sola riaprire la comunicazione e far nascere possibilità nuove, perché suscita uncambiamento di prospettiva nei singoli coinvolti nella controversia.

Avvocato

Nel nostro Paese una legge recente rende in molti campi obbligatoria la mediazione. Un metodo come quello da lei esposto richiede però una totale libertà delle parti. Con l’obbligatorietà del tentativo di mediazione si rischia soltanto un ulteriore aggravio di costi per il cliente.

Mediatore

Forse. Il Governo conosce meglio di noi il sistema-giustizia italiano e aveva previsto che un periodo di obbligatorietà fosse necessario per far concretamente sperimentare la mediazione, date le opposizioni di principio che vi sarebbero state, soprattutto di una parte degli avvocati. Il che si sta puntualmente avverando ed è dovuto, come ho cercato di mostrarle, alle profonde differenze, anche culturali tra il metodo giuridico e il metodo della mediazione.

Non dimentichiamo che l’esperimento della mediazione non priva le parti, in caso di fallimento, del diritto di andare davanti al giudice. E poi l’offerta dei servizi di mediazione proverrà anche da organismi privati o che comunque agiranno in regime privatistico, pur monitorati dal Ministero di Giustizia.

Avv. Diego Comba